Giuseppe Fortunato - da 'Il Sannio Quotidiano'
Accorato
ed appassionato appello ci giunge dal signor Luigi Marchese di Airola.
Un grido
– oserei dire – di disperazione – estremo – di chi non si rassegna ad assistere
alla morte della propria terra e di ogni speranza di rinascita. “Campania Felix
era il termine che gli antichi romani attribuivano alla nostra Regione” –
esordisce Marchese - “Penso ne avessero
ben donde, soprattutto loro che altri territori conoscevano. Evidentemente” –
riflessione amara – “non conoscevano bene noi campani”. Ma anche entro i
medesimi confini campani si intravedono vicende differenti. In seno ad una
generale vicenda regionale scivolata – nel post terremoto dell’ 80 - “in un
tunnel politico-affaristico-malavitoso” – prosegue Marchese – si apprezzano le
vicende di alcune aree, quali quelle del litorale salernitano ed altre interne,
“rimaste fuori da questo fenomeno malversivo”. In tutto ciò – si interroga il
nostro interlocutore – “Noi caudini come siamo messi? Sopravviviamo” – la
replica – “tra tante contraddizioni e promesse non curanti forse, del domani
che non si prospetta dei migliori, salvo che non arrivi un radicale cambiamento
di rotta.” Insiste il cittadino di Airola “Noi che, in fatto di peculiarità
ambientali e geografiche non siamo secondi a nessuno, rimaniamo vittime di una
certa industrializzazione di facciata che ha fatto il bello e, soprattutto, il
cattivo tempo col pubblico denaro”. Marchese, verosimilmente, allude anche alla
questione industriale airolana. “La cosa più grave è che questo fare e disfare
strutture, rivelatesi quasi inutili, ha creato scempi, disordine e illusioni di
lavoro”. Questo – allo stato – triste processo industriale ha – inoltre -finito
per distrarre da quella che poteva e doveva essere la vera occasione di
sviluppo per il territorio. Una certezza – offerta dalla terra – da cui ci si è
allontanati. “Queste benedette illusioni hanno mandato nella trascuratezza e
nel dimenticatoio tutte quelle tradizioni che la nostra terra ci consentiva e
che hanno rappresentato un vanto ancor prima della pseudo industrializzazione.
Oggi assistiamo a spettacoli naturalistici inconcepibili. Come si può restare
insensibili nel vedere quintali di frutta di stagione lasciata a marcire sugli
alberi? Tra un paio di mesi la scena si ripeterà: noci, castagne, mele che
fanno da squallida cornice nelle strade di campagna ostruendo il normale flusso
delle acque piovane”. Inseguendo altre sirene, quindi, si sarebbe finito per
abbandonare la strada maestra, che pur non era stata avara con i nostri
antenati. “Si badi bene: i prodotti accennati, negli anni addietro, avevano una
ricerca sul mercato non indifferente. La storia di quegli anni ci dice che
tutti i fine settimana il nostro territorio era meta di gente che, da ogni
parte della Campania, veniva a fare incetta. Per non parlare dei tanti camion e
vagoni diretti nelle grandi fabbriche di trasformazione del Nord”. Il perché di
questo ‘appeal’ è presto detto “Il motivo i questa fenomenologia era, ed è, uno
solo. I nostri prodotti , messi a confronto con gli stessi di altre zone, si
distinguono per i sapori e altre sostanze organolettiche, grazie al terreno
variegato su cui prosperano. In virtù di
tutto ciò, diamoci una svolta: bando alle promesse che mai vengono esaudite da
questa pseudo classe politica. Diamo spinta ai nostri sindaci e noi con loro
rivalutiamo la storia. La nostra Valle non può morire per incuria, la nostra
Valle è la prospettiva di domani”
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