AIROLA- Industria o agricoltura?Intervista a MARIO TIRINO

Giuseppe Fortunato - da Il Sannio Quotidiano'
Industria o agricoltura? La strada ‘nuova’- che si decise di percorrere anni addietro – o quella che avrebbe continuato ad assecondare la naturale vocazione del territorio?
Airola, qualche decennio or sono, si trovò dinanzi al suo bivio. Uno di quelli che, qualunque direzione si finisca per intraprendere, finisce per mutare il corso delle cose. Il paese fece la sua scelta, lasciandosi alle spalle una storia che la aveva elevata a punto di riferimento per una intera Valle. Che li convergeva attratta dal rinomato ed apprezzato ‘mercato’ ortofrutticolo, vetrina di prodotti dalla eccelsa qualità. Le due ipotesi, dunque, le due possibilità di sviluppo per il comprensorio messe a confronto. Per tentar di capire se quella via – frettolosamente abbandonata per i nuovi lidi del presunto sviluppo– avrebbe potuto recare maggiori fortune per il territorio. Quella terra  -in definitiva – lasciata incolta sarebbe stata più prolifica dei capannoni? Avrebbe reso la società caudina più serena? Quella terra che – ancora oggi, pur dimenticata – continua a partorire frutti che muoiono incolti tra le stesse zolle che li hanno germinati. L’ interrogativo, gli interrogativi tornano – nostalgicamente – d’ attualità. Dopo la prima fase aurea della Alfa Cavi – son venuti, infatti, i tempi bui delle chiusure e dei fallimenti. Della disilussione. Di gente rimasta col buio innanzi. Oggi – ancora – si lotta alacremente, con tenacia contro i mostri della mobilità e dei licenziamenti. La paura c’è. Si palpa. La paura di chi ha timore di dover fare un ulteriore passo indietro rispetto all’ odierno purgatorio. La lotta si combatte nei Palazzi, contro le promesse non mantenute, contro la crisi, contro tutto. E ci si chiede, ora che le lancette sono le peggiori delle nemiche: la politica, in questi anni, dov’ è stata? Nella speranza che una risposta industriale giunga a ri-elevare le sorti del paese – annullando siffatto discorso -  abbiamo aperto il dibattito. Rivolto a politici, operatori dell’ informazione ed alla società civile. Fece bene Airola – anni or sono – quando si trovò allo storico bivio, ad imboccare la strada dell’ industria? Principiamo il nostro percorso dal dottor Mario Tirino, giornalista ed operatore culturale.

Questione industriale: una sua impressione
La questione industriale è soprattutto una questione sociale. Di progetti industriali seri, per ora, non c'è alcuna traccia. E per progetti industriali intendo programmi di investimento che contengano, in maniera chiara, indicazioni sui comparti, sul numero di occupati, sulle fonti di finanziamento, sui tempi di implementazione delle attività.
Crede in una reindustrializzazione dell' area?
In questo momento occorrono parole chiare, perché l'errore più terribile sarebbe perseguire nel vendere fumo e illusioni. Partiamo dal presupposto che l'industria italiana è a pezzi e trovare imprenditori con disponibilità di capitali e capacità manageriali è assai arduo. In seconda battuta, si è arrivati impreparati e inerti all'agonia finale. Sono anni che gli operai percepiscono la CIG ordinaria e straordinaria, ed era chiaro a tutti che la Tessival Benfil non avrebbe ripreso la produzione. La domanda che mi faccio è la seguente: in tutto questo tempo possibile non sia saputo procedere all'individuazione di un nuovo soggetto? Oggi tale ricerca è resa più affannosa sia dal contesto economico-finanziario occiedentale che dalla tempistica. Ebbene, prima di 2 anni, per essere ottimisti, difficilmente qualcuno potrà riconvertire l'area.
 Il caso specifico di oggi ed il parziale fallimento: dove la colpa?
Fallimento totale. Le colpe sono stratificate a più livelli, ma è chiaro che le responsabilità vanno ricercate in capo a chi scelleratamente ha puntato sul tessile. Già a metà anni '90 era chiaro a tutti che il settore avrebbe ceduto alla concorrenza cinese. Quale cieco ha ignorato le crisi, poi tramutatesi in definitive chiusure, di distretti storici come Prato e Biella, e potuto anche lontanamente pensare che ad Airola avrebbe funzionato? E' evidente che la classe dirigente locale è stata assolutamente incapace. Ingolosita dalla possibilità di sistemare disoccupati ed ex lavoratori Alfacavi, per puri interessi clientelari, ha perso di vista il benessere e il futuro della comunità. Un discorso a parte andrebbe sviluppato sull'imprenditoria corsara, che, scendendo dal Nord, ha fatto incetta di fondi pubblici, ben sapendo di non poter mantenere le promesse occupazionali.
Spesso - dagli ambienti dei lavoratori - trapela un malcontento verso la società civile rea di non assecondare la protesta. Condivide l' atteggiamento degli ex Benfil-Tessival?
Non saprei rispondere a questo quesito. Quello che mi impressiona è che le maestranze sono frammentate anche al loro interno, come dimostra l'esiguo numero degli ex operai che partecipano alle proteste, specie se confrontate con la compattezza di altre manifestazioni (penso alla vertenza Alcoa o agli scioperi dei pastori sardi). Sicuramente la reindustrializzazione è un tema che dovrebbe essere a cuore a tutta la comunità caudina e sannita. Ma credo che la responsabilità del disinteresse totale tra la società civile vada anche ricercata tra i rappresentanti sindacali, che, dividendosi, hanno dato e stanno dando pessimo spettacolo. Rafforzando, giusta o sbagliata che sia, l'impressione che si stia combattendo una battaglia persa in partenza.
Alla resa dei conti, quindi, il progetto industriale airolano presenta ad oggi un bilancio assolutamente negativo?
Ad oggi sì. Ma bisogna rifuggire il catastrofismo del "tanto peggio, tanto meglio" di cui osservo abbondanti tracce nei discorsi quotidiani. Qualcosa può essere ancora realizzato, purché si rispettino due condizioni. La prima concerne il ristabilimento dei tavoli interistituzionali: che si scelgano vecchi strumenti, come l'Accordo di programma, o se ne creino dei nuovi, ciò che conta è che le soluzioni vengano elaborate mettendo in rete ruoli, competenze, risorse e intelligenze di Istituzioni, imprese e parti sociali, magari mettendo da parte certo provincialismo e le tentazioni di risolvere da soli problematiche così complesse. Il secondo fattore perché si possa progettare la riconversione riguarda le strategie complesse, che prevedano più scenari eventuali. In parole povere, si esperiscano, in concertazione con gli attori interessati, tutti i tentativi per nuovi insediamenti industriali. Ma, già da oggi, si pensi a dei modelli alternativi di sviluppo, che garantiscano duratura occupazione, se tali tentativi dovessero fallire.
L' agricoltura, la pratica che fece ricca questa area. Se si fosse continuato su quella strada?
Naturalmente oggi non possiamo avere controprove. Mi limito a un paio di osservazioni. Uno, ad Airola avevamo due prodotti di estrema qualità: la cipolla e la mela annurca. Gli stessi agricoltori non hanno avuto la lungimiranza di lottare per il riconoscimento di tali eccellenze, preferendo lasciare le campagne per un posticino in fabbrica o, in subordine, puntare sul reddito immediato apportato dalla tabacchicoltura, con una visione di corto respiro. Due – e qui il discorso si fa più generale – i contadini sono vittime della stessa sindrome che infanga la comunità airolana: vale a dire l'incapacità di creare condivisione, visioni comuni. Come in politica, così nelle imprese agricole, le divisioni, i personalismi, l'arretratezza tecnologica hanno impedito la costituzione delle cooperative, che avrebbero permesso di mettere insieme la massa critica per ottimizzare le produzioni e la loro valorizzazione e distribuzione sui mercati.
Crede in una inversione di rotta verso nuovi investimenti agricoli?
Qui il discorso si fa realmente interessante. L'agricoltura, per una serie di ragioni che sarebbe arduo riassumere, da sola non potrebbe riattivare un circuito di investimenti, occupazione e consumi. Ci vogliono visioni lungimiranti e coraggiose. Punterei sul recupero mirato di alcune produzioni di eccellenza – come la citata cipolla airolana -, magari coinvolgendo realtà già strutturate per operazioni di questo tipo come Slow Food. L'agricoltura dovrebbe costituire il perno di una grandiosa rivoluzione socio-economica, la cui parola chiave è turismo di eccellenza. Recuperare le bellezze storico-artistiche e renderle pienamente fruibili, riempire i locali vuoti del centro di botteghe artigiane e punti ristoro rigorosamente dediti al made in Sannio e made in Campania, garantire un'offerta di spettacoli ed eventi culturali per la maggior parte dei week-end: un programma ambizioso, forse; da mettere in campo con la necessaria collaborazione in primis degli altri Comuni della Valle e quindi di Provincia, Regione e Ministeri competenti, sicuramente. Ma anche un sogno, che da utopia può farsi concreta matrice di lavoro, stipendi, competenze producendo coesione sociale e garantendo opportunità, con uan formazione professionale ad hoc, sia a precari e sotto-occupati a bassa scolarizzazione, sia a tanti laureati caudini costretti a lasciare questa terra e che non vedono l'ora di mettere i loro talenti al servizio di un progetto valido. Naturalmente, perché ciò si tramuti in realtà, le classi dirigenti dovrebbero maturare una consapevolezza e sviluppare una progettualità ad oggi totalmente inesistenti. Basta pensare al dilettantismo con cui l'immagine di Airola e, a parte S. Agata de' Goti, della Valle Caudina intera, viene comunicata. E pensare che qualche tempo fa l'amministrazione Supino investì una cifra considerevole in uno studio di marketing territoriale realizzato da una società di Napoli. Sarei curioso di capire come quella spesa si è tramutata in un agire concreto.

Commenti

  1. Come sempre, perfetta esauriente e precisa esposizione da parte del dottor Tirino Mario.

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