Arcangelo Bove, 90 anni di ciclismo nel cuore "Il mio doping? Pane e banane"

Oggi compie 91 anni Arcangelo "cosce di ferro" Bove, ciclista caudino degli anni Quaranta e Cinquanta. Nel porgergli in più cari auguri di buon compleanno e, soprattutto, di ancora lunghissima salute, ripubblichiamo l'intervista che lo stesso rilasciò a "IL SANNIO QUOTIDIANO" nel 2016

"Quando mi incontrava, Pasquale Carbone era solito rivolgersi a me in questo modo: Arcangelo, ce vulesser 'e cosce toje e a capa mia. Statt cert che non perdesseme mai". Parola di Arcangelo Bove, la "Stella del Sud" - come da battesimo di un cronista d'epoca. Nato a Paolisi nel mese di Aprile del 1927, fu ciclista dilettante e professionista attivo tra gli anni Quaranta e Cinquanta. Gambe d'acciaio – come gli ricordava il 'collega' Carbone – Arcangelo Bove era uno scalatore di razza. Scorza quanto mai tosta, alla soglia dei novant'anni – portati con invidiabile lucidità mentale e tenuta fisica – Bove ha appeso solo da un paio d'anni la bicicletta al chiodo "Fino a poco tempo fa mi divertivo a coprire la distanza tra Airola, dove oggi vivo, e Frasso telesino. Poi ho preferito fermarmi non perchè il fisico me lo impedisse quanto per timore di una caduta. I miei giri, infatti, li affrontavo sempre in solitario". La bici, però, è qualcosa iscritta nel dna e nonno Arcangelo, alla fin fine, ben sapeva che facilmente si sarebbe potuto lasciar nuovamente sedurre dalla passione di sempre "Tagliai la testa al toro – ci rivela – Presi la bici e la regalai a mio figlio: solo così sono stato sicuro di non inforcarla più". Riavvolgiamo il nastro per scoprire – tuffandoci a ritroso di qualche decina d'anni - quando e come scoccò l'amore per i pedali. Ce lo rivela lo stesso Arcangelo, nel 1995 decorato con il riconoscimento di 'Gladiatore sannita'. "Avevo uno zio a Cervinara che riparava orologi e biciclette. Mi incantavo a guardarle. Ed allora mio zio mi disse che se proprio ci tenevo ne avrebbe aggiustata una per darla a me. Quel pensiero mi si ficcò in mente ed ogni giorno mi recavo a piedi, da Paolisi a Cervinara, per vedere se lo zio aveva mantenuto la promessa". Storie di altri tempi, incrocio di sacrifici e genuinità "La mia famiglia era composta da otto fratelli: mio padre aveva un carrettino con il cavallo. Era, per così dire, un corriere". Lontani dalla iper-informazione di oggi, resa quanto mai real time dal web, le imprese dello sport di ieri si vivevano attraverso uno strumento oggi, ormai, molto 'vintage'. "La radio, si, la radio. Quella – rivela Bove – era la nostra finestra sul mondo". Determinanti furono, poi, le parole di Giorgio Ciambriello, pure lui ciclista della limitrofa Airola, tese ad incoraggiare l'allora giovane Arcangelo ad intraprendere l'avventura sulle due ruote "La mia prima squadra nei dilettanti fu la Trigilio Napoli. Feci il mio debutto nel 1949 ed in quell'annata colsi ben 28 successi in altrettante gare. La prima in assoluto, invece, l'avevo vinta nel 1943/44: avevo appena sedici anni e per poter prendere parte a quella giornata dovetti affittare una bicicletta". La bicicletta, appunto. Quanto è cambiato negli anni il 'ferro del mestiere'. "Quando gareggiavo io pesava circa 12 chili. Oggi sono fatte in lega e pesano molto di meno, circa sette". Tira un sospiro il 'gladiatore'. Poi prosegue "La mia prima vittoria giunse a Casagiove. Da dilettante riuscivo a vincere circa 25-26 gare ogni anno. In tutto ne conquistai circa 110". Poi venne il grande salto nel circuito dei professionisti. "Fu un'avventura durata cinque anni, dal 1951 al 1956, momento del mio ritiro. Fui ingaggiato dalla 'Learco Guerra', team che aveva sede a Milano. Ero gregario di Hugo Koblet". L'esperienza a targa prof non fu avara di soddisfazioni per quel roccioso ragazzo della Valle Caudina "Presi parte alla Milano-Sanremo e alla Milano-Torino. Ricordo – prosegue Arcangelo Bove – la vittoria che colsi a Napoli. La gara si sviluppava su un circuito che prevedeva 40 giri su via Caracciolo". Poi ci fu quella volta all'Arenaccia. Anno 1952 ed un certo Mondi dovette – a 'causa' di Bove – buscarsi anche il simpatico 'sfottò' di Coppi. "Mi misero all'inseguimento di Mondi che l'anno prima aveva conquistato il Giro d'Italia. Era una gara su pista lungo sette giri e riuscii a batterlo". Ed il grande Coppi non esitò a 'deridere' bonariamente l'illustre collega "Ti sei fatto sconfiggere come un ragazzino". Sempre da professionsita, poi, un altro momento da incorniciare. Quello rappresentato dalla Napoli-Roma-Napoli allorquando, al cospetto di calibri quali Kubler e i due Coppi (Fausto e Serse) riuscì a conquistare la tappa intermedia a Benevento. Nel 1952, ancora, la Sassari-Cagliari con la vittoria del Gran Premio della montagna anche in quel caso al cospetto di big quali Coppi e Bartali. Ed un ricordo ben impresso "Quel successo mi permise di portare a casa la somma di 100.000 lire. Una bella cifra trattandosi di oltre sessant'anni fa". Le due ruote non chiusero le porte in faccia all'amore. Anzi, le spalancarono. 'Galeotta' fu, infatti, una gara in terra airolana “Mi recai all'interno di una salumeria per fare acquisto di alcune zollette di zucchero. Era quella della sua famiglia: la mia futura moglie mi chiese chi fosse il ciclista Bove. Fu allora che scoccò l'amore". Un amore che è stato prolifico: dall'unione, infatti, sarebbero nati 3 figli. Figli che, a loro volta, lo hanno reso sette volte nonno con la ciliegina sulla torta rappresentata dai due pronipoti.  Qualcuno della discendenza – gli chiediamo – si è posizionato sulla sua scia (tanto per rimanere in tema) condividendone la passione ciclistica? "Solo mio figlio Raimondo, oggi colonnello dell'Esercito, abbracciò, sebbene solo per un periodo, questo sport". Uno sport che nonno Arcangelo consiglierebbe ai giovani d'oggi sebbene ad una centrale ed irrinunciabile condizione "Ci vuole volontà, tantissima volontà – ci spiega la 'Stella del Sud' – E' un'attività che impone importanti sacrifici. Ricordo che quando mi allenavo da dilettanti ci recavamo da Paolisi fino a Formia con tanto di ritorno. Sfidavamo il caldo ed il freddo con un equipaggiamento non certo paragonabile a quello di oggi. Come ben sai – prosegue Bove – ora gli atleti sono 'armati' con tute che non consentono al freddo di penetrare assicurando un certo isolamento termico. All'epoca mia, invece..figurati: una volta a Minturno mi presentai con gli zoccoli. Però vinsi..". A proposito, ancora, di sforzi ed allenamenti "La Paolisi-Formia rappresentava allenamento in pianura. Ovviamente, però, vi era anche la preparazione in vista delle gare in salita. Allo scopo 'scalavamo' Monteforte o affrontavamo la salita di Pratola Serra". Sport come rivalità ed amicizia. "Certo, la rivalità sportiva è giusto che esistesse. Ma tutto rimaneva confinato in quell'alveo: vi erano i vari Mastroianni, Mauso, Mastroberardino. Ero, però, in rapporti di amicizia e di rispetto con ciascuno di loro". L'album dei ricordi è ricco di aneddoti come quello relativo alle partite a carte con Bartali per ammazzare il tempo sul traghetto diretto in Sardegna. Capitolo finale sul ciclismo del 2000 e sulle distorsioni legate alla deriva-doping. "Il nostro doping erano banane e pane con marmellata. Quelli erano i nostri unici energizzanti. Quelli che oggi fanno ricorso a queste scorciatoie? Guarda – tuona nonno Arcangelo – li toglierei immediatamente dalla circolazione. Anzi, ti dico di più: la bicicletta non gliela farei proprio vedere".

Commenti