Giuseppe Fortunato - da 'Il Sannio Quotidiano'
Le
cose meno belle - anche quelle dai connotati tragici - contro cui si scontrano
le esistenze di ognuno lungo il quotidiano percorso della vita, presentano - o,
almeno, dovrebbero presentare - anche un risvolto positivo.
Quello di lasciare,
cioè, in preziosa dote un insegnamento ed un arricchimento del personale
fagotto di esperienza. Se, invece, da esse non si coglie nulla, vorrà dire che
sulla nostra pelle sarà semplicemente scivolato un momento brutto, buono solo a
lasciare solchi di paura e cicatrici. In (amaro) esordio mi riservo di rammentare
come la criminalità - evidente motore di
questi oscuri episodi - miri a destabilizzare la comunità locale, nelle sue
sfere istituzionali e popolari. La città di Sant’ Agata dei Goti – in alcuni
suoi componenti – non ha, nella giornata di ieri, fornito quella risposta di
compattezza e di unità che la particolare contingenza avrebbe preteso. Quella
risposta che la gente avrebbe fortemente voluto. Ore 18 – che poi divengono le
ore 19 – Palazzo San Francesco. Il parlamentino locale torna ad adunarsi dopo
svariati mesi per francobollare – attraverso la sottoscrizione di un documento
di sostegno e di unità - il becero atto di violenza indirizzato – sotto forma
di ordigno – al locale Presidente del Consiglio comunale, Giancarlo Iannotta. Pubblico
non delle grandissime occasioni e, a posteriori, meglio così. Il meteo è stato
provvidenziale. L’ esordio è affidato alle parole dello stesso Iannotta “ferito
nell’ animo, ma non nell’ impegno”. Ci tiene, da subito, il giovane
rappresentante, a rivolgere ed a rinnovare i proprio grazie a persone ed
Istituzioni che lo hanno sostenuto ed idealmente abbracciato in questa triste e
profonda parentesi. Menzioni particolari sono riservate al Consiglio comunale
nella sua interezza ed alla figura del Prefetto. E, da un punto di vista
squisitamente umano, a Valentino “..vicino a me un’ intera notte”. Di seguito –
prima dell’ intervento personale del primo cittadino- viene sottoposto alla
pubblica attenzione il documento stilato - nel venerdi immediatamente
successivo al fatto – dalla conferenza dei capigruppo. Contenuti non
contraddistinti da formalismi, ma da un ‘parlato’ a tratti essenziale e diretto
“I consiglieri comunali dicono basta!”. Successivamente prende parola il
sindaco, Carmine Valentino, che rende noto l’ elemento tecnico della seduta. L’
oggetto del deliberato comprende – infatti – una richiesta avanzata al Prefetto
di integrare il personale in forza alla locale Arma. Capace già ora, sia chiaro,
di svolgere un lavoro più che egregio, nonostante la esiguità di uomini. Quasi
presagendo i toni che avrebbero contraddistinto l’ orazione di Alfonso Ciervo, Valentino
aveva già sottolineato “All’ atto di condanna non va concesso minimo spazio per distinguo”.
Ed, ancora “Chi lo ha smarrito, recuperi il senso di responsabilità”. Prima di
venire all’uscita dell’ex sindaco, oggi
UDC, vi era stata una serie di interventi interlocutori. Si erano succeduti,
infatti, quelli del capogruppo del PDL, dottor Michele Razzano - con l’ invito
“a non alimentare illazioni”, ed a ”non scivolare in un clima da far west” –
e quello di Stefano Di Donato, in rappresentanza del suo gruppo consiliare.
Uscite improntate sul condannare senza se e senza ma, sulla fiducia, ancora,
nel buon lavoro degli inquirenti. Si procede sui binari della ordinarietà, fino
– come anticipato – alla dichiarazione di Ciervo. Frasi ‘shock’ - anticipate
dalla scontata manifestazione di vicinanza a Iannotta - che annichiliscono il
poco pubblico presente. “Credo che l’ amministrazione e la maggioranza debbano
porsi la domanda se, dal punto di vista politico e amministrativo, abbiano
prodotto ogni sforzo in direzione della trasparenza e della legalità, come
premessa per evitare ogni forma di violenza, ma anche di obliqui intrecci e
relazioni pericolose per le istituzioni”. “Una azione di governo” definita
“assoggettata a logiche tutte esterne e sicuramente poco limpide”. Ciervo
prosegue rammentando come la città abbia subito, dal giugno 2009, una sequenza
di atti intimidatori di ogni ordine e tipo citando, nello specifico, i famosi
proiettili del 2010 – con le conseguenti dimissioni del vice sindaco,
francobollate come “una fuga dalle responsabilità che ha accentuato il clima di
preoccupazione” - nonchè gli atti incendiari subiti da mezzi edili operanti in
cantieri locali. L’ ex sindaco continua chiedendo a se medesimo ed ai presenti
come mai nel periodo 2004-2009, quello della sua legislatura, non si fosse
verificato il minimo atto di violenza. Poi si dà la risposta “Chi è a capo di
un’amministrazione non deve creare false aspettative, non deve illudere i
cittadini con promesse elettorali difficili, se non impossibili, da onorare”.
Poi, la chiusura, con una sorta di appello ai singoli consiglieri “che vogliono
responsabilmente porre fine a questa esperienza amministrativa, per impegnarsi
a dar vita ad un progetto di moralizzazione della gestione della cosa pubblica,
al di la degli steccati politici”. Quelle che sono state chiare accuse – da
parte di Ciervo – ben presto determinano la reazione di parte della
maggioranza. Veemente, quella di Montella, che definisce l’ atteggiamento dell’
ex sindaco come ‘fomentante’, prima di far riferimento al “vuoto spaventoso”
dell’ opposizione. Rintuzzato da Michele Razzano, Montella ridimensiona il tiro
solo a quella parte della minoranza rappresentata da Ciervo. Quindi, il
professore Alfonso Maria Di Caprio che “non accetta lezioni di moralità da
nessuno”, di Viscusi e del consigliere provinciale Renato Lombardi, che invita
a “non gettare benzina sul fuoco”.Ancora, l’ assessore al Contenzioso, Oreste
Viola, che definisce quelle di Ciervo “illazioni”. Il sindaco Valentino si definisce
“sconcertato e disorientato dall’ intervento dell’ ex PD, Alfonso Cievo”. Prima
di precisare che le parole del suo predecessore sarebbero state girate all’
attenzione degli inquirenti, Valentino sottolinea come il subire atti di
violenza non possa francobollare la vittima come un delinquente. “Falcone e
Borsellino” – rammenta – “perché sono morti?”. La deontologia giornalistica
impone una posizione di ‘asetticità’. Mi esimo, quindi, dalla valutazione dei
contenuti delle singole esposizioni. Preciso, in via esclusiva, che doveva
essere – quella di ieri - una seduta improntata sulla neutralità. Non si doveva
far riferimento, quindi, né alle gesta della maggioranza, né a quelle dell’
opposizione. Non era quella la sede della propaganda. Né, tantomeno, bisognava
lanciarsi in accuse incrociate. Non era quella la sede dei processi. L’
intervento di Pietro Farina, coordinatore del locale circolo pidiellino, sembra
ricalcare proprio questi aspetti “ Si doveva solo condannare” esordisce l’
avvocato santagatese “Non si doveva intervenire, né da una parte, né dall’
altra, sull’ operato amministrativo”.
Commenti
Posta un commento