Sant'Agata de' Goti/ Come Gomorra, eravamo la pattumiera delle fabbriche del Nord


(Sannio Quotidiano)_Tutti lo sapevano, in pochissimi avevano tentato di impedirlo o si erano fatti portatori di denuncia. La terra di Sant'Agata de' Goti è tomba di veleni. Roba industriale proveniente – sebbene saranno gli inquirenti a fornire la completezza delle risposte – anche dalle fabbriche del Nord. Fanghi, catrami, polveri, fusti. Meccanismi non troppo lontani da quelli descritti da Saviano, processioni di furgoni che illuminavano le notti degli anni Ottanta e di cui in tanti/troppi erano stati testimoni; verosimili complicità locali con, la supposizione par essere fondata, arricchimenti facili e veloci.
A ciò si aggiunga qualche occhio istituzionale (di troppo) che per forza di cose è rimasto socchiuso. Il risultato? Il risultato è che al di sotto del paradiso – appena 80 centimetri al di sotto – vi è l'inferno. Le ultime scoperte fanno ancora più male rispetto alle prime – che manco belle erano – venute fuori dalla cava cosiddetta 'Picone'. Se una decina di giorni or sono, infatti, si era scavato tra la terra nuda, nell'ultima circostanza le ruspe hanno divelto meli e peschi per sviscerare un passato che manda a farsi benedire i quadretti da 'Georgiche' in cui ci illudevamo di vivere. Illudevamo, in effetti. Perchè tutti sapevano che la terra di Palmentata – anche al di la della Provinciale – e quella di Presta avevano inghiottito 'dio solo sa cosa'. Ora è un fuoco nel mucchio da parte della società civile che mira a impallinare tutti quanti hanno ricoperto il ruolo di amministratori in passato; un'indiscriminata condanna, tuttavia, è senz'altro da respingere. Così come non può essere tacciata in toto di omertà una comunità che, in diversi singoli, giura di avere denunciato e sollecitato chi di competenza. Restando inascoltata. Come dirsi, siamo tutti vittime e carnefici. Per quanto complicato sia, si impone ora la necessità di guardare oltre. Salvare e recuperare ciò che può essere recuperato e salvato. Il Nipaf, a quanto pare, metterà tenda nel territorio saticulano. Ben vengano loro. Ben venga – paradossalmente – il camorrista che ha dato l'imput utile a far luce sugli squallori degli ultimi trent'anni. Quel camorrista che chiude un cerchio che lui stesso aveva disgraziatamente aperto.







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