Non resta che partire

Annarita Romano Gli anglosassoni lo chiamano "gap year" ma per gli italiani è semplicemente l'anno sabbatico. Chi non ha mai sognato di staccare la spina dalla solita e noiosa routine e concedersi del tempo solo per se stessi? L'anno sabbatico sta diffondendosi sempre di più anche in Italia, mentre nei Paesi del nord Europa è già una realtà largamente affermata. Nella tradizione ebraica l'anno sabbatico era un periodo durante il quale si facevano riposare le terre o si condonavano i debiti o si liberavano gli schiavi: infatti secondo le leggi di Mosè, il terreno doveva essere lasciato a riposo per dodici mesi ogni sette anni. Un anno sabbatico non è certamente accessibile a tutti: richiede, in media, seimila euro di spese per chi si adatta ed è attento ad una serie di accorgimenti. Per questo, la soluzione migliore, è quella di viaggiare e, allo stesso tempo, trovare dei lavori full-time o part-time per affrontare le numerose spese che comporta un soggiorno fuori casa. Alcuni dati dimostrano che tra le tipologie di viaggiatori vi sono giovani che decidono di partire poco più che diciottenni per prendere un anno di "pausa-lavoro" prima di iscriversi all'università, giovani neolaureati che vanno all'estero per imparare una lingua o fare volontariato e, ancora, lavoratori ai quali deve essere concesso il permesso dall'azienda; ma la vera novità è che a partire sono soprattutto i pensionati. Liberi di poter disporre del proprio tempo, liberi da qualsiasi condizionamento, molti pensionati decidono di trascorrere un anno sabbatico nei Paesi del terzo mondo lavorando in associazioni di volontariato, dove, naturalmente, la loro attività non è retribuita ma, in compenso, vengono accolti con tanta ospitalità. Tra i giovani il 65% di coloro che partono sono maschi, che desiderano fare principalmente un giro del mondo durante il loro anno sabbatico; del restante 35% fanno parte le ragazze, che hanno maggiormente a cuore svolgere un'attività di volontariato. Per quanto riguarda i lavoratori, una legge del 2000 prevede che a chiedere un anno di pausa siano tutti i dipendenti con almeno cinque anni di anzianità, ma la nota dolente è che l'azienda può anche rispondere di no. Per la legge italiana, infatti, l'anno sabbatico non è retribuito, non concorre a formare l'anzianità e gli scatti professionali, né a contributi figurativi per la copertura pensionistica; il lavoratore  può riscattare questo periodo, versando contributi volontari per la copertura pensionistica di tale periodo. Seduce, dunque, sempre più italiani l'idea di fermarsi per un anno, abbandonare la scrivania con lo scopo di studiare in un Paese estero, di imparare una lingua, di "ricaricare le batterie" o semplicemente partire in cerca di avventura. L'anno sabbatico ha i suoi utili pregi: innanzitutto serve ad allenare la mente, troppe volte abituata allo statico tran tran quotidiano, serve a "svegliarsi" e a trovare ogni giorno nuovi stimoli. Non bisogna però confondere il gap year con una vacanza: per contro, è un periodo molto impegnativo che insegna a non dare nulla per scontato, a rimboccarsi le maniche e farcela con le proprie forze. Spesso ciò che maggiormente frena giovani e anziani a partire è la paura, la paura di non farcela, di non riuscire ad adattarsi alle scomode situazioni così lontane dagli agi della vita di tutti i giorni, la paura di sentirsi inadatti in un luogo non conosciuto, la paura di lasciare il lavoro certo in un mondo in cui tutto traballa. Viaggiare non è semplice, ma una volta che si è preso coscienza di ciò, è sufficiente lasciare a casa le paure, armarsi di buona volontà e mettere in valigia tanto spirito di adattamento e un po' di spensieratezza: dunque, non resta che partire!''

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