Dieci anni ed un giorno

Dieci anni ed un giorno ci separano dalla diffusa sensazione di incredulità che ci pervase quel giorno. Scene simil-hollywoodiane che inaugurarono la fase della guerra preventiva, grattacieli in fiamme che fecero tremare le gambe del gigante a stelle e strisce, mai violato in casa propria. Almeno fino ad allora. E la paura che il terrore potesse affacciarsi, prima o poi, nelle nostre stazioni o nei nostri aeroporti. Nella tragedia di quel giorno vi fu la tragedia di quei duecento che scelsero di morire saltando. Saltando via dalle fiamme impetuose delle torri prossime al collasso, dal cherosene dei serbatoi che aveva invaso tutto, dall’ acre odore del fumo. E si trovarono dinanzi alla più paradossale delle scelte che un uomo deve affrontare: come morire. Lentamente, lasciandosi avvolgere da un muro di fiamme o in un istante che dura una vita. Come nel peggiore degli incubi, volando dai quattrocento metri di quel mostro di cemento che stava morendo, avvicinandosi per interminabili secondi ad una fine che, però, sarebbe stata istantanea. Nelle dirette tv ci accanivamo a credere che fossero detriti che volassero giù, non potendo, non volendo capire la nostra umana mente a quali estremi può trascinare la paura, la disperazione. Chissà cosa avranno provato, cosa avranno visto lassù, a chi avranno pensato.The falling man è il nome di questa foto e fu scattata alle 9:41 di quel maledetto giorno da un fotografo che di cognome fa Drew.  Il teologo Mark D. Thompson, impiegato presso il Moore Theological College, sostenne che questa è forse “la più potente immagine di disperazione scattata all’inizio del ventunesimo secolo che si possa trovare in arte, letteratura o musica popolare. Tutto in una sola foto”.Impossibile dargli torto.Secondo alcuni l’ uomo della foto si chiamava Jonathan Briley ed era un cameriere di 43 anni impiegato nel ristorante ‘Windows of the World’, il ristorante-ritrovo del gotha della finanza allocato in cima alla torre uno. Tuttavia il dato non è certo e nemmeno importa. Che non succeda più, che non si alimentino le contrapposizioni. Perchè l’ 11 settembre è figlio del seme dell’ odio che, purtroppo, ogni giorno noi tutti seminiamo.

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