Giustizia non è stata fatta per Troy Davis

Annarita Romano. Alle 23:08 di mercoledi 21 settembre, le 5:08 in Italia, lo stato della Georgia (USA), ha giustiziato Troy Davis, un quarantaduenne afroamericano, con un’iniezione letale che ha portato alla morte il condannato, quindici minuti dopo l’inizio dell’esecuzione. Troy Davis si trovava nella prigione di Jackson dal 1991 con l’accusa di aver ucciso un poliziotto bianco, Mark Allen McPhail, a Savannah, in Georgia. Il 19 agosto del 1989, infatti, tre bulli stavano infastidendo un senzatetto nel parcheggio di un fast food, quando, in difesa dell’uomo, intervenne l’agente di polizia fuori servizio, McPhail, che fu ucciso con due colpi di pistola. Uno di questi tre bulli era Troy Davis, allora diciannovenne. Al processo del 1991, gli altri due bulli e sette testimoni dichiararono che a sparare era stato Davis, che fu condannato a morte. Nonostante egli si fosse sempre dichiarato innocente, la condanna è stata ugualmente eseguita; infatti a nulla sono servite le dichiarazioni del condannato a morte che, oltre ad aver sempre ribadito di non aver ucciso il poliziotto, che quella sera era fuori servizio, ha costantemente dichiarato di non essere in possesso di una pistola la sera dell’omicidio. Molte polemiche ha destato questo caso in tutto il mondo poiché privo di solide basi che portassero alla scelta della Corte Suprema dichiaratasi favorevole ad una condanna che, prevedendo l’iniezione letale, avrebbe dovuto anche fondarsi su prove schiaccianti e inequivocabili. E invece sette dei nove testimoni hanno ritrattato la loro versione affermando di aver subito pesanti pressioni da parte della polizia durante i loro interrogatori; in vent’anni non è stata trovata neanche una piccola prova che potesse far dubitare della innocenza di Troy Davis; l’arma del delitto non è mai stata ritrovata e il test del DNA non ha dato alcun esito.Sulla base di quale elemento di prova, seppur minimo, è stato condannato a morte Troy Davis?Vi è una contraddizione di fondo nel sistema penale americano, che non prevede pene crudeli e disumane, ma prevede la pena di morte (non in tutti gli stati americani). Immaginare un ipotetico Troy Davis, o tanti altri prima di lui dichiaratisi innocenti, costretto a subire un’iniezione di tre veleni (il primo letale, il secondo che blocca l’attività respiratoria e il terzo che blocca il battito cardiaco), costretto a subire agonie lunghe 8 o 10 minuti e costretto a restare cosciente durante il soffocamento che provoca uno dei veleni, non è forse disumano? Pensare che un essere umano dichiaratosi innocente (cambierebbe ben poco anche se fosse dichiaratamente colpevole) e contro cui non vi è uno straccio di prova, possa subire inerme una ingiustizia del genere che si spaccia per giustizia, non è forse crudele? La Costituzione americana esclude pene terribili che possano ledere la dignità dell’uomo o che possano essere indegne, ma ne attua altre ben più feroci. Trentuno, dei 50 Stati degli USA, applicano ancora la pena capitale, in un Paese, gli Stati Uniti, conosciuto nel mondo per essere all’avanguardia e in continuo progresso. In molti casi, 130 per la precisione, nella storia della pena di morte degli USA, è mancato poco, a volte una manciata di ore, che si uccidesse la persona sbagliata, cancellando la condanna a poche ore dall’esecuzione. In altri casi sono state scoperte, solo successivamente, altre prove o testimonianze che avrebbero evitato la morte a quei condannati. È il caso di Ruben Cantu assassinato dallo stato del Texas nel 1993: solo dopo la condanna a morte, un testimone lo ha scagionato. O ancora, basta citare Cameron Willingham, giustiziato nel 2004 e ritenuto invece dal 2009 molto probabilmente innocente, in quanto scagionato da rilievi scientifici riesaminati da cinque rinomati esperti che hanno affermato l’origine accidentale e non dolosa dell’incendio, che secondo l’accusa aveva appiccato Willingham, e che ha portato alla morte delle sue tre bambine; nonostante più volte fu invitato a dichiararsi colpevole in cambio di una condanna all’ergastolo, Willingham anche in punto di morte si dichiarò innocente. Prima di essere ucciso, Troy Davis, ha avuto, almeno, vicino a sé tutto il mondo. Amnesty International si è mobiliatata con un appello mondiale e un milione di firme affinchè la sua pena fosse commutata in detenzione a vita; alle autorità della Georgia sono arrivate 630000 lettere che imploravano clemenza; vi sono stati appelli di clemenza anche da parte della stampa americana; e ancora, migliaia di manifestazioni a cui hanno partecipato persone alle quali non importava se Troy Davis fosse innocente o colpevole: chiedevano solo che non venisse messa in atto una barbarie e che fosse risparmiato un uomo.

Commenti