Un tesoro santagatese ammuffisce nel deposito di un museo napoletano

L'interno della Chiesa di San Francesco


Una miriade di reperti - quantificabile, addirittura, in un paio di migliaia di pezzi-  sarebbe emersa, nel corso degli anni, dal sottosuolo di Sant'Agata dei Goti. Il mirabile patrimonio è  eterogeneo, componendosi di elementi greci, etruschi ed, ovviamente, romani. Di quest' immensa - potenziale - ricchezza non è rimasto un solo coccio in Sant'Agata dei Goti. Inutile ribadire come una sua eventuale riunione nella casa madre, subordinata alla costituzione di una adeguata area espositiva, darebbe nuova linfa e stimolo alla stanca economia locale. Ed invece, dobbiamo assitere - beffardamente a bocca asciutta - allo sparpagliamento dei nostri tesori - molti dei quali trafugati da abili tombaroli - tra i musei di mezza Europa ed Italia. Molti di essi sono di pregevole fattura, quale il celeberrimo vaso di Asteas - 'pallino' del Presidente Napoletano che lo volle nel bel mezzo del Salone dei Corazzieri in occasione del cerimoniale per il cinquantenario dei Trattati di Roma. Tutti, in ogni caso, forniscono importante testimonianza del passato.  Dal significativo valore anche storiografico è la cosiddetta 'lapide di Madelgrima', una epigrafe funeraria risalente al periodo longobardo.  Madelgrima - moglie di Rodoaldo, conte di Benevento (dal 642 al 651 d.C.) - fu donna di altissime qualità morali, come si evince dalla stessa iscrizione. Essa recita: “ In questo luogo giace sepolta Madelgrima moglie del conte Rodoaldo insieme ai figli del marito. Ella ornò la sua vita di onesti costumi portando sempre ai poveri sollievo ed aiuto. Era l’ultimo giorno del mese di Maggio quando essa lasciò l’involucro del suo fragile corpo. Colui che osserva le afflizioni del tumulo dice in maniera augurale: O Cristo perdonale tutti i peccati”. Il luogo della deposizione originaria della nobile Madelgrima è sconosciuto ma, in tempi successivi, almeno la lapide venne collocata nella chiesa di Santagatella, eretta dai Goti in Sant'Agata, come risulta da atti del 1354. Alla fine del 1400, la chiesa fu restaurata ed arricchita da Mons. Don Francesco de Marenis, per cui in seguito venne indicata come “ S.Agata de Marenis “. Con la soppressione della parrocchia e la successiva demolizione della chiesa, la lapide, nella seconda metà del ‘700, fu venduta allo storico regio Don Francesco Daniele di Maddaloni che, a sua volta, presumibilmente la donò al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dove viene conservata. La lastra marmorea, però, non si trova in esposizione ma nel deposito-magazzino dello stesso Museo, ed il relativo cartellino dell’inventario reca la dicitura Capua 4523. E qui casca l' asino. Per quale motivo un reperto di tale consistenza storica e culturale deve giacere nei sotterranei di un museo, precluso alla conoscenza della collettività? Se non merita di essere visibile al pubblico dell' Archeologico, perchè non rivendicarne il ritorno in terra santagatese, anche considerando la disponibilità di un sito idoneo ad ospitarlo (Chiesa di San Francesco)? Perchè tanta e tale passività, anche su quest aspetto, da parte della politica? L' attivissima Proloco di Sant' Agata dei Goti, presieduta dal professore Claudio Lubrano, sembra essere l' unico soggetto territoriale realmente interessato alla questione. Tuttavia, l' ottima volontà ed il grande spirito di iniziativa del suo presidente devono necessariamente - per approdare a buon esito della questione - essere sostenuti da un valido supporto delle istituzioni locali. Una sinergia, una unità di intenti tra le varie forze - quale si ebbe in occasione dell' apertura del presidio ospedaliero di località San Pietro - sono la condicio sine qua non per riportare 'in patria' ciò che ci appartiene. Oggi la lapide di Madelgrima, domani il vaso di Asteas.

Commenti

  1. Con i tombaroli al comando non si puo' fare molta strada

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