Alfredo Festa, il partigiano - da IL VAGLIO

da Il Vaglio
In auto verso Telese, dove mi attende il presidente provinciale dell’Anpi, Antonio ‘Tonino’ Conte,  cerco di costruire un’immagine mentale di Alfredo Festa, il partigiano che, accompagnato da Tonino, sto andando a intervistare.
Nel Sannio sono ormai soltanto in due, lui e Giuseppe Crocco, ultimi rappresentanti di un drappello di eroi delle nostre terre, che per un lunghissimo periodo sono stati gli unici custodi delle loro storie. Da qualche tempo, però, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia ha costituito una sezione sannita, molto attiva fin da subito per restituire importanza alla memoria di quella lotta partigiana che tanta parte ebbe nella fase finale della liberazione d’Italia dal Nazifascismo.
Giunto nel paesino termale e incontrato il mio accompagnatore, nel giro di pochi minuti mi ritrovo a suonare al citofono di una palazzina semplice e ordinata. Ci aprono in fretta, in fondo siamo attesi, e una rampa di scale più su finalmente stringo, per la prima volta, la mano di Alfredo Festa.
Mi trovo davanti un uomo anziano nell’aspetto ma dai movimenti rapidi e precisi. Ha due vivaci occhi marroni e la sua parlata veloce rende subito evidente una straordinaria limpidezza di pensiero e, scoprirò a breve, anche di memoria. Alfredo Festa è di corporatura media e non troppo alto ma, quando mi rivela che la settimana prossima compirà 90 anni, tutta la sua tempra assume un nuovo, più sorprendente, significato. Ci fa entrare in un appartamento dalle luminose mura bianche e ci fa accomodare in un salottino spazioso di cui mi colpisce subito una grande vetrata scorrevole che occupa quasi per intero la parete di fondo. Tra le poche cose appese nella stanza, balza subito agli occhi un vecchio diploma, un po’ ingiallito, scritto in una lingua che non riesco a riconoscere. Si capisce solo la data, 24 settembre 1974, e il nome di Alfredo Festa, segnato in stile calligrafico al centro della pergamena. È l’attestato con il quale, a trent’anni circa dalla fine del conflitto, la Jugoslavia del dittatore Tito rendeva omaggio ai combattenti che presero parte alle lotte partigiane sul confine orientale della penisola italiana.
‘Ho fatto il partigiano in Jugoslavia – ci dice, infatti, Alfredo Festa -, in Slovenia. Dal primo giorno dell’armistizio (8 settembre 1943 – NdR), fino a qualche mese dopo la Liberazione d’Italia (25 aprile 1945 – NdR). L’ho fatto per tutto il periodo’. Così comincia l’intervista vera e propria con Alfredo Festa che subito aggiunge: ‘Oggi è il 26 luglio del 2012 ed esattamente il 26 luglio 1945 feci rientro a casa. Ero partito da Gorizia il 19 luglio. Il viaggio fu una vera epopea’.
Ma andiamo per ordine. Durante l’intervista veniamo a sapere che Alfredo Festa, classe 1922, all’età di vent’anni viene chiamato alla leva militare e sceglie di arruolarsi nell’aeronautica. È il 1942 e le sorti del conflitto mondiale, che per i primi tre anni avevano visto le forze dell’Asse prevalere sugli Alleati, cominciano ad invertirsi. La guerra degli Italiani che fino alle campagne di Grecia e di Albania era stata una trionfale marcia contro nemici fantoccio, diventa sempre più dura in Africa e, soprattutto, in Russia.
È questo il panorama bellico quando Alfredo Festa viene destinato, con il ruolo di infermiere, all’aeroporto militare di Gorizia, dove è allestito un ospedale italiano per la cura dei soldati impegnati nella difesa del confine orientale. Lì lo sorprende, come tutti i militari italiani, l’Armistizio del 8 settembre 1943. ‘Eravamo in ambulanza e cercavamo di evacuare alcuni feriti verso Gorizia, quando fummo raggiunti dai partigiani di Tito. Spararono alle gomme e ci catturarono. Ci portarono sulle montagne e lì ci dissero di scegliere: potevamo tornare indietro e rischiare di finire in mano ai tedeschi, che stavano deportando tutti i militari italiani, oppure potevamo rimanere con loro e dare una mano nella cura dei feriti’. Alfredo ci guarda con gli occhi brillanti e aggiunge: ‘Pensai che se non mi avevano ammazzato subito allora non lo avrebbero più fatto e questo era meglio di rischiare la morte con i Tedeschi’.
Il nostro partigiano, a questo punto, finisce a curare feriti tra i combattenti jugoslavi e le popolazioni locali, nascosto in un piccolo ospedale mobile sulle montagne. Per venti mesi Alfredo Festa presta i primi soccorsi ai feriti e, dopo avergli bendato gli occhi per ragioni di sicurezza, fa la spola accompagnandoli nelle retrovie verso le strutture di cura allestite presso i campi partigiani nel profondo dei boschi sloveni. ‘Io dormivo con due bombe a mano sotto il cuscino – ci racconta a un certo punto – ma non erano per attaccare nessuno, erano per me. Quando i Tedeschi catturavano qualche partigiano, se era jugoslavo lo uccidevano subito ma se era italiano prima lo torturavano e poi lo finivano. Dicevano che gli Italiani erano traditori. Per questo avevo deciso che se mi avessero catturato non mi sarei fatto prendere vivo’.
Numerosi sono gli aneddoti che Alfredo Festa ricorda con precisione e dovizia di particolari, come quello dell’amputazione della gamba a un giovane partigiano jugoslavo la cui ferita era andata in cancrena, intervento effettuato usando grappa come anestetico e attrezzi da falegname. ‘Pochi anni fa sono tornato in quelle zone per una cerimonia commemorativa – aggiunge Festa-, dove, a sorpresa, mi hanno lasciato deporre la corona di fiori ai piedi del monumento ai caduti. È stata una grande emozione. Tra le persone presenti ho incontrato anche una signora che mi ha raccontato di essere stata la moglie di quel ragazzo che, purtroppo era morto solo poco tempo prima’.

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