Perchè non nascono più campioni

di Giancristiano Desiderio - da www.sanniopress.it 
Succedono cose strane. La cosa più strana è che in strada non ci sono più ragazzini a giocare a pallone. Sono scomparsi. Accade in paese come in città. Io ho giocato a calcio dappertutto. Il posto più bello era il pronao del duomo a Sant’Agata dei Goti. Colonne, archi, capitelli, scalini, marmo, Giulio Cesare, Gesù, la Madonna, il Super Santos che andava su e giù e ogni tanto qualcuno che giocava da Dio. Il sacrestano che usciva a baccagliare  – iativenn’ fetienti, andate via fetenti -  ma il più delle volte assisteva e qualche volta non resisteva e giocava anche lui. Su quei marmi, forse, anche Papa Sisto dovette dare qualche calcio, sia pure di altra natura, ma io a pensarci bene non ne ho dati poi tanti perché la mia squadra non faceva parte della parrocchia del duomo. Giocavo con la parrocchia di quelli del ponte.
All’epoca veramente si giocava ovunque. C’erano molti campi: l’oratorio, dalle monache, nel seminario, a Capitone e naturalmente il grande campo sportivo al centro del paese. Era una scuola calcio naturale ossia senza scuola, perché il calcio di antologia è come la filosofia dell’ontologia: non s’insegna. Nasce dal gioco e dalla necessità. Quello era il campo dei Prota, Iannucci, Stanzione – di un Centrobecco a me caro come la vita e la morte -  e naturalmente di Virelli (Tonino, è chiaro; Guido aveva tanta buona volontà ma finiva là). Veder giocare Tonino Virelli era uno spettacolo. Rapido, intelligente, la palla incollata al piede, un Baggio prima di Baggio. Un modello da imitare. E in tanti ci abbiamo provato perché il calcio a Sant’Agata dei Goti è stata una gloriosa tradizione: “Tremate, tremate: i Goti son tornati”. All’origine di una civiltà ci sono quasi sempre i barbari, ma a volte la barbarie ritorna anche senza civiltà. Forse, perché non li sappiamo riconoscere. Il campo sportivo era molto di più di un recupero settimanale dell’infanzia, come dice Marìas in Selvaggi e sentimentali. Era un recupero quotidiano di senso e sudore, terra e fango, e scarpe che andavano e venivano da Mascia, il calzolaio. Sembra incredibile, ma un tempo c’era anche il calzolaio: aveva una bottega poco prima della farmacia Ievoli ed entrare a portagli le scarpe era un rito, mentre lui, simile a mastro Geppetto, era come incastonato in un antro sormontato di scarpe ovunque. Oggi non solo tutto è andato a puttane, le monache non ci sono più e lì dove c’era l’erba c’è un deserto di asfalto e lamiere a forma di automobili, ma se provate a cercare un calzolaio vi prenderanno per matto. Succedono cose strane. Quando c’era il campo sportivo si giocava ovunque per strada. Oggi che da una vita non c’è più il campo sportivo non si gioca più in nessun luogo. I bambini sono scomparsi. I ragazzini non giocano più a calcio nella storia. Neanche tra le automobili, come si faceva un tempo con il pallone che regolarmente finiva sotto una 127. Ma bambini e ragazzini non possono fare a meno di giocare a calcio. Dove sono, allora, a giocare? Alla scuola calcio. Una volta a pallone si giocava gratis. Oggi si gioca a pagamento. Almeno così i ragazzini giocano e sono al sicuro. Almeno questo. Ma qualcosa non mi torna: se il calcio non è insegnabile, perché pagare per giocare? Mario Sconcerti si sofferma su questo problema della scomparsa del calcio dei bambini e dei ragazzini nelle pagine finali de Il calcio dei ricchi. L’estinzione del calcio spontaneo dei bambini e la diffusione del pallone istituzionalizzato delle scuole calcio incide negativamente sui bambini e sul calcio. I maggiori giocatori italiani  – Mazzola padre e Mazzola figlio, Rivera, Mariolino Corso, solo per fare tre nomi -  non sono nati nelle scuole calcio (che non esistevano neanche) ma nel calcio giocato per davvero e spontaneamente. Il calcio, come le cose autentiche della vita, si porta dietro un che da autodidatta. Se sai controllare la palla e sai correre senza perderla giochi e vai avanti, ma se non lo sai fare non ci sarà nessuna scuola calcio che te lo potrà insegnare. Vuol dire che non sei tagliato. Stop. Non ci puoi fare niente. Puoi maledire e imprecare. Ma non c’è niente da fare. Nessuno lo sa meglio dei bambini che sanno chi è bravo, chi non è malaccio e chi non se la cava.  La selezione è parte costitutiva del calcio. La scuola calcio tende a falsare la selezione perché ci sono di mezzo i soldi e chi paga vuole un minimo di soddisfazione e chi è pagato prova a darla. Ma come diceva De Gregori per altre motivi, non è da questi particolari che si giudica un giocatore. Un buon giocatore non nasce dalla retta. Ci sarà un motivo se il calcio italiano da un po’ di tempo ha smesso d’avere grandi giocatori. Ci sarà un motivo se non nascono più campioni. Succedono cose strane. Ma si capisce il perché. Abbiamo avuto buoni calciatori fino a quando avevamo un campo sportivo e giocavamo consumando le suole delle scarpe e la pazienza di mamma. Da quando tutto è andato a puttane e non ci sono più né monache, né campi sportivi disseminati per il paese, non abbiamo più il recupero settimanale dell’infanzia e non nascono più campioni. Ma almeno io, Tonino Virelli, me lo ricordo.

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